Il luogo comune che solo una famiglia "mulino bianco" possa essere felice e crescere bene i figli è una bufala.
Peraltro quasi sempre chi non fa parte di una famiglia "mulino bianco" si complica la vita a causa di questa convinzione.
buenretiro
quando, ad un certo punto del cammino, si sente forte il bisogno di trovare una via di fuga
Thursday, 25 April 2019
Wednesday, 13 February 2019
La tesi di Ocasio-Cortez è che il sistema è marcio, che poi a ben guardare è esattamente la stessa tesi che ha sempre sostenuto Trump.
Non c’è dubbio che sia entertaining, a me ha ricordato i film di Oliver Stone: tutto fila, i cattivi smascherati, i buoni giovani e belli. Rimane tuttavia un discorso quintessenza di demagogia su moltissimi piani, e lo dico, non come disclaimer ma per esser chiaro, convinto che cambiamento climatico, disuguaglianze esistenziali, e forma della nostra democrazia siano le tre priorità assolute del tempo che viviamo.La tesi di Ocasio-Cortez è che il sistema è marcio, che poi a ben guardare è esattamente la stessa tesi che ha sempre sostenuto Trump.Questa tesi però non dipende dal fatto che i politici siano elitari e corrotti come sosteneva Trump che chiamava la avversaria Hillary “crooked”; al contrario, sostiene Ocasio-Cortez, i politici sono corrotti e venduti. Per sostenere questa tesi mostra che i politici possono ricevere donazioni illimitate dalle cattive multinazionali farmaceutiche, del gas e del petrolio, per fare cose cattive e egoiste. E, non plus ultra, il Presidente può essere un cattivone – pretty bad guy – con maggiore facilità di tutti perché non ha neanche quei blandi controlli riservati ai deputati. Ora, tutto ciò viene detto da una deputata di un paese in cui gli ultimi due presidenti, uno di sinistra e uno di destra, sono stati eletti nonostante la oppositrice (di Obama alle primarie e di Trump alle elezioni) avesse molti ma molti ma molti più soldi da spendere, ricevendo questi finanziamenti soprattutto dalle multinazionali (cattive).Oltretutto, è detto da una persona che è stata eletta a furor di popolo di un collegio sicuro (tipo il Mugello da noi, per capirci) superando alle primarie il candidato di apparato. Insomma, la sostanza di quanto sostenuto da Ocasio-Cortez – le multinazionali si comprano la politica americana – non regge dieci righe nella versione che lei stessa propone.Ma c’è un altro elemento per me insopportabile e sbagliato (richiamando come la penso su riscaldamento climatico, disuguaglianze e democrazia). Il gas e il petrolio li usiamo per vivere: riscaldarci e cuocere e spostarci. Le case farmaceutiche producono i far-ma-ci, le medicine, le cose che diamo ai figli quando stanno male, i prodotti che hanno ridotto la mortalità infantile del mondo a livelli inimmaginabili fino a venti-trenta anni fa. Questo non vuol dire che va tutto bene, perché se andasse tutto bene non penserei che la nostra democrazia necessiti di evoluzioni importanti per mantenere la sua promessa di inclusione delle persone nelle decisioni collettive. Ma significa anche che contrapporre aziende in cui lavorano milioni di persone, che fanno cose che servono a miliardi di persone, ad un fantomatico “interesse generale” è una mistificazione bella e buona che non serve a avvicinarci di un millimetro ad affrontare quelle tre questioni che ho richiamato sopra.
Saturday, 19 May 2018
Stavolta è arrivato il lupo
Una delle cose peggiori della Seconda repubblica è stata il pigro e rituale ricorso dell’opposizione di turno – lo hanno fatto tutti: centrodestra, centrosinistra e Movimento 5 Stelle – all’argomento dell’attentato alla democrazia. Negli anni sono state definite con gran disinvoltura “regime”, “dittatura”, “deriva putiniana” cose che non erano niente di tutto questo, banali tentativi – discutibili come tutti, ma certo non eversivi – di legiferare in materia costituzionale o giudiziaria, di superare il bicameralismo perfetto o cambiare le leggi contro la diffamazione o introdurre la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri.
Magari non erano delle buone leggi, pensarlo è più che legittimo: ma di certo non erano leggi che avrebbero o hanno attentato alla democrazia. Un largo numero di scrittori e giornalisti ha utilizzato cinicamente questo argomento per vendere quattro copie in più, tanto chi vuoi che se ne lamenti: la democrazia non può farti causa. E come nella più classica delle gare a chi la spara più grossa, i politici hanno usato le parole dei giornalisti come lasciapassare per le proprie, alzando ancora di più il tiro, paragonando il presidente del Consiglio di turno a Hitler, a Videla, a Pinochet, senza alcun senso del ridicolo. Alla fine tutto è diventato un attentato-alla-democrazia. Al lupo, al lupo. Gli elettori hanno fatto propri questi argomenti, e oggi li usano quotidianamente persino più di stampa e partiti: per anni hanno contemporaneamente accusato gli avversari di voler fare un golpe e desiderato un golpe della propria parte. Il risultato: ne sono stati anestetizzati. Sono diventate parole come tante altre.
Finché poi, un giorno, arriva il lupo. In questo caso il lupo si chiama “introduzione del vincolo di mandato”: è scritto nero su bianco nel programma del nostro futuro governo. Di cosa parliamo: oggi la Costituzione prevede che i parlamentari – in quanto espressione diretta del voto dei cittadini – siano liberi di esercitare la loro funzione senza “vincolo di mandato”. Ancora più letteralmente, vuol dire che sono liberi di votare contro il partito con cui sono stati eletti e anche di uscirne, se pensano secondo coscienza che sia la cosa migliore da fare (è così anche in Portogallo, per la cronaca, l’esempio che cita impropriamente il programma M5S-Lega). Questo è quello che rende l’Italia una democrazia e nello specifico una democrazia parlamentare: decidono i parlamentari, e quindi le leggi devono effettivamente convincerne una maggioranza, per essere approvate. Non bastano le decisioni di uno o due leader di partito. Introdurre il vincolo di mandato significa rendere il Parlamento superfluo: se i parlamentari devono votare come indicato dai loro leader, allora è inutile votare. Basta una decisione dei leader.
Sarebbe semplice dare la colpa di tutto questo soltanto al Movimento 5 Stelle e alla Lega. Invece c’entrano anche quasi tutti gli altri. Complimenti, e che Dio ce la mandi buona.
(Francesco Costa, sul Post del 17/05/2018)
(Francesco Costa, sul Post del 17/05/2018)
Friday, 25 December 2015
informazione inutile
(di luca sofri, sul post di oggi)
Giuliano Ferrara scrive della grandissima “perdita di tempo” protagonista delle nostre vite, dedicata a una serie di temi e argomenti dell’attualità irrilevanti. È quella che noi al Post chiamiamo più sbrigativamente – con termine un po’ milanese – “fuffa“. Dice Ferrara.
Giuliano Ferrara scrive della grandissima “perdita di tempo” protagonista delle nostre vite, dedicata a una serie di temi e argomenti dell’attualità irrilevanti. È quella che noi al Post chiamiamo più sbrigativamente – con termine un po’ milanese – “fuffa“. Dice Ferrara.
Vedo le immagini del povero, simpatico e inutile Salvini che si aggira per Mosca con una sciapka e un sorriso sperduto: quante chiacchiere su di lui, quante ipotesi, e che enorme perdita di tempo. Tutti quei sondaggi, quegli interrogativi su abboccamenti segreti, la ricostruzione della destra, la lite con gli zingari, l’eredità della lega di Bossi, il torso nudo, la cravattona verde, padroni a casa nostra, l’abbraccio con Le Pen. Rivado al 2015 come anno greco: quanto tempo abbiamo perso appresso alle ubbie di Varoufakis, alle gradevoli ma inessenziali mondanità e accademie dell’economista scatenato contro il Minotauro globale. Era una banale questione di debito e politica, si è visto che l’ascetismo ha un limite, non sopporta il limite dei sessanta euro quotidiani di contante erogato da banche in stato fallimentare, e ci vuole altro debito per sostenere il debito, e per convincere i creditori bisogna fare i bravi ragazzi, non gli spendaccioni umanitari. Ma era tutto chiaro da subito, poi mesi e mesi di storytelling nel paese che ci aveva dato il mito, la storiografia e altre cose classiche e serissime. Sarà così, ancora così, ancora tempo perso in quantità, anche per Trump, per le Le Pen, per Pablo Iglesias e gli altri? Quanto tempo perdiamo appresso alle esagerazioni di Brunetta, Dibba e altri vocianti e petulanti? Insomma, il tempo ha un suo peso, un suo profilo, una sua stretta necessità; il fatto di dissiparlo a vanvera non può non avere conseguenze.
Ferrara ha completamente ragione: la mediocrità e inutilità dei contenuti della politica ma anche della cronaca di cui siamo indotti a preoccuparci non è solo una questione da imbarazzata e rassegnata alzata di spalle, accompagnata dal commento “che scemenze inutili”, mentre ce ne andiamo da un’altra parte. Non ce ne andiamo da nessuna parte, invece. La fuffa occupa quotidianamente ed estesamente lo spazio e il tempo che potrebbero essere destinati a pensieri e progetti migliori, a più proficue comprensioni delle cose.
Il fatto è che la “perdita di tempo” intorno a temi volatili e insignificanti è un prodotto commerciale come altri, alla cui utilità siamo portati a credere dal sistema dei media soprattutto. Corrisponde come altri a quel vecchio discorso sui “bisogni indotti”, o sui prodotti che compriamo anche se non ci servono perché un sistema culturale e di comunicazione ci convince che ci servano: “notizie” cicliche e ripetute ogni volta uguali, allarmi, storie false e le loro smentite e poi daccapo, uscite dall’euro, tensioni e concitazioni intorno al nulla, scissioni del PD, sono un prodotto, in assenza del quale i media sarebbero costretti a cercare di venderne altri di minore mercato. Perché di queste cose intanto c’è domanda, una domanda ottusa creata appunto artificiosamente grazie al concorso quasi unanime del sistema dell’informazione e dei prodotti editoriali. E stiamo parlando di un’industria estesissima, con grandi volumi economici (e in crisi, quindi in maggior affanno e panico da svendita) e moltissime persone che ci lavorano. Per non parlare del ruolo della “perdita di tempo” nella politica.
Rinunciare quindi alla “perdita di tempo”, come propone Ferrara – o limitarla -, si tratti di Salvini o Brunetta o molte altre cose, è la stessa cosa di non vedere il nuovo Guerre Stellari o non ascoltare il nuovo disco di Adele o non cambiare il telefonino ogni due anni (anzi più difficile, perché la perdita di tempo non richiede che accendere la tv o aprire un giornale). Si può, ma il mondo intorno ti convince di essere un estraneo e ti fa temere di stare perdendo qualcosa di fondamentale: non lo è quasi mai, e si rivela ogni volta nel giro di pochi giorni, rendendo palese quale perdita di tempo sia stata. Ma non facciamo in tempo a rifletterci, perché stiamo già perdendo tempo con qualcos’altro.
Wednesday, 21 October 2015
quando chi informa amplifica (se non inventa dal nulla) normali divergenze di opinione.
Per alcuni giornali italiani (Repubblica, il Giornale, Libero, il Tempo, più di altri), i criteri di scelta delle titolazioni degli articoli – e a volte degli articoli stessi – sono soprattutto due: paura e zizzania. Se voi una mattina li leggete ignorando i titoli orientati da questi due messaggi, impiegate davvero poco tempo.
Della paura si sa: allarme, rischi, pericoli, ipotesi nefaste, cose da temere, possibilità sgradevoli, creano un repertorio che va tecnicamente sotto il nome di “terrorismo mediatico” e che a volte si avvicina alla fattispecie giuridica del “procurato allarme”, ampiamente familiare a esperti e lettori. Le titolazioni ci investono molto, selezionando negli articoli quello che può generare questi effetti e anche creandolo artificiosamente quando non c’è. L’idea è che ciò che genera paura e preoccupazione – ma anche indignazione e collera conseguenti – attragga di più l’attenzione dei lettori, soprattutto in tempi di crisi dell’attenzione dei lettori. La conseguenza è un quotidiano innalzamento della soglia della paura – ci si abitua a tutto – che costringe ogni giorno a dire cose più paurose e dirne di più.
Della paura si sa: allarme, rischi, pericoli, ipotesi nefaste, cose da temere, possibilità sgradevoli, creano un repertorio che va tecnicamente sotto il nome di “terrorismo mediatico” e che a volte si avvicina alla fattispecie giuridica del “procurato allarme”, ampiamente familiare a esperti e lettori. Le titolazioni ci investono molto, selezionando negli articoli quello che può generare questi effetti e anche creandolo artificiosamente quando non c’è. L’idea è che ciò che genera paura e preoccupazione – ma anche indignazione e collera conseguenti – attragga di più l’attenzione dei lettori, soprattutto in tempi di crisi dell’attenzione dei lettori. La conseguenza è un quotidiano innalzamento della soglia della paura – ci si abitua a tutto – che costringe ogni giorno a dire cose più paurose e dirne di più.
L’altro investimento che queste testate fanno massicciamente è sullo scontro, il litigio, con conseguente produzione di violenza – verbale, di solito: ma dagli effetti anche molto concreti – tra attori i più vari: con l’obiettivo di coinvolgere la curiosità dei lettori sullo spettacolo che ne deriva. Se ci pensate, non è niente di nuovo, dal Colosseo in poi, passando per lo sport e per i più simili meccanismi di scelta degli ospiti ai talkshow televisivi: più la competizione è accesa e dagli effetti imprevedibili, più il pubblico la segue. La bonaccia, la norma, la concordia, non fanno spettacolo e non attraggono lettori. Questo spiega perché appena insediato chiunque in qualunque ruolo si trovi ed esalti qualcuno che lo attacca, perché i governi siano sempre a un passo dalla crisi e dilaniati da tensioni interne, perchè i sondaggi dicano sempre che qualcuno sta andando male, perché le dichiarazioni polemiche ottengano grandi – e travisati – virgolettati, perché ogni sodalizio professionale o personale debba nascondere una tensione o un tradimento. È rottura, è crisi, è polemica, ai ferri corti, punta il dito contro, è lite, c’è sempre qualcuno che attacca qualcun altro, e una scissione incombente. E anche in questo caso, tutto questo alimenta a sua volta le tensioni e i contrasti stessi: leggete i titoli e dite se non vi sembra che tutto intorno ci sia un inferocimento tignoso generale, e se non vi sentite un po’ inferociti e tignosi anche voi.
Un esempio abbastanza spettacolare di questa strategia della tensione è stato il modo con cui ho letto riportata ieri la notizia dell’assoluzione di Erri De Luca. Storia la cui sintesi ragionevole – e qualcuno l’ha posta in questi termini, per fortuna – era questa: eccitato polverone creato a fini circensi da diversi soggetti interessati intorno a un’interpretazione sciocca del reato di istigazione a delinquere (i reati di opinione non c’entravano niente), polverone che è stato infine spazzato via da una sentenza, e quindi tutti a casa, circolare, festa finita. E qui il meccanismo sopracitato si è mostrato in tutta la sua precisione ed efficacia: investendo immediatamente – con titoli e interviste e commenti – sull’accusa di De Luca: “Gli intellettuali non mi hanno difeso”.
E per un altro po’ siamo coperti.
E per un altro po’ siamo coperti.
Tuesday, 15 September 2015
Salvini, creazionisti e geocentrici
Sui migranti i vari Salvini (o Le Pen o Orban) hanno le stesse posizioni dell'Isis: che ieri ha pubblicato un anatema verso chi lascia il sacro suolo dell'Islam per andare in Europa.
Non è una coincidenza, non è strano e non è nemmeno scandaloso: si chiama identitarismo, paura di contaminarsi, convinzione radicata che la propria etnia, cultura e religione siano superiori a quelle altrui quindi non si debbano mescolare.Gli esseri umani, tra il XX e il XXI secolo, hanno creato un mondo interconnesso a cui una parte dell'umanità non era pronta.
Anzi, non è pronta.
E reagisce così.
Ovvio che sono risacche: fra un paio generazioni saranno nello stesso capitolo dei creazionisti o dei geocentrici. Noi però ci avremo a che fare ancora per parecchi anni. E tutto sommato dalle nostre parti ci è andata bene, che ci sono capitati quelli che ruttano e non quelli che decapitano.
(da PIOVONO RANE dell 11/09/2015)
Sunday, 28 June 2015
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