Se la crisi mette a dieta l'occidente, che sia almeno quella mediterranea. Si spiega anche così la fortuna dilagante delle cucine del sud. Snobbate al tempo del miracolo economico perché retaggio di povertà, calorica ed economica. Rivalutate oggi perché simbolo alimentare di quella decrescita felice che è la sola ricetta in grado di riparare i danni prodotti dalla bulimia consumistica. Da quell'opulenza spalmata come burro sulla vita del cittadino globale e che ha finito per ostruire le coronarie del Primo mondo. Appesantito dall'accumulo delle scorie del benessere, da un eccesso di residui non più metabolizzabili. Proprio come le montagne di rifiuti che assediano le nostre città.
E' come se la salute del nostro corpo fosse diventata la cartina di tornasole della salute del pianeta. E viceversa. Ecco perché abolire il troppo e il vano dai nostri piatti, ritornare alle sane abitudini di un tempo, riflette un rapporto rinnovato con i nostri bisogni e desideri. Ma anche una nuova responsabilità verso la natura e le specie viventi. Così la dieta torna ad assumere il suo significato originario, che è quello di forma di vita. Diaita per i Greci significava proprio "regola di vita". E l'antica sobrietà di pane, olio e vino, elementi sacri della civiltà mediterranea, diventa il simbolo di una moderna abbondanza frugale. E quel che sembra un ritorno al passato si fa annuncio al futuro.
(Marino Niola sul Venerdì)
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