Saturday, 23 February 2013

fò dario


Di Alexander Stille, ieri. 
Non l'avevo mai guardato da questo punto di vista il rapporto tra arte e politica. In fin dei conti anche Grillo è un artista. 
Un bel problema.
L’appoggio pubblico di Dario Fo a Beppe Grillo dimostra ancora una volta che il talento e l’intelligenza sono due qualità molto diverse, spesso lontane. Fo è un uomo di teatro davvero brillante; quando recita, entra dentro un personaggio sul palcoscenico, sembra impossessato da un genio comico. Ma quando da uomo normale apre bocca a parlare della politica si rivela un uomo profondamente normale, anzi banale. Esprime sempre i luoghi comuni della sinistra extraparlamentare degli anni settanta – una cultura ingessata e sclerotica – dimostrando di non aver imparato mai nulla.
Gente che ha sbagliato tutto, o quasi, convinta non di aver sbagliato mai. Protetta di un invincibile senso della propria giustizia contro ogni incursione della realtà. Mi ricordo vari spettacoli di Fo e Rame alla palazzina Liberty di Milano nei primi anni ottanta, durante il periodo più buio degli anni di piombo:  in uno spettacolo hanno raccontato di un operaio costretto a rubare dalla miseria, la fame e la spietatezza del padrone capitalista.
Fu un tentativo non molto sottile di giustificare la violenza terroristica e “i furti proletari” come frutto inevitabile della disperazione materiale, mentre la realtà di quei tempi era del tutto diversa: l’Italia stava sperimentando un benessere sempre più diffuso, un periodo di crescita economica accelerata che stava minando la possibilità di una rivoluzione popolare.
Il terrorismo piuttosto che una necessità materiale fu una scelta politica da parte di vari leader della sinistra extraparlamentare i quali, avendo capito che il Partito Comunista – e con esso la stragrande maggioranza della classe operaia – si stava spostando verso posizioni socialdemocratiche decisero che l’unica strada rimasta aperta verso la rivoluzione era la violenza.
Mi ricordo bene che dopo gli spettacoli di Fo, raccoglievano soldi per il “soccorso rosso,” facendo discorsi pietosi sui “poveri” amici – ex-capi di Potere Operaio, Lotta Continua e Autonomia che hanno dovuto fuggire in Francia per sottrarsi a processi per terrorismo.
Mai un cenno alle barbarie delle Brigate Rosse o di Prima Linea e delle responsabilità politiche e morali dei loro amici che hanno mandato allo sbaraglio una fetta importante della loro generazione: prese alla lettera le prediche e gli scritti sulla necessità della lotta armata. Ed eccoci trent’anni dopo con Beppe Grillo – non per paragonare Grillo ai capi della sinistra extraparlamentare – sempre con le arringhe di un mondo ultra-semplificato, del popolo “buono” e i soliti cattivi, di demagogia vuota senza programmi e senza prospettive.
Sarebbe bello vivere nel mondo dei demagoghi di destra e sinistra – un mondo in cui non si pagano le tasse ma i servizi sono tutti gratis; in cui le università sono aperte a tutti (gratis) e a ognuno è garantito un buon lavoro dopo la laurea; non si sfrattano quelli che non pagano il mutuo e non si paga l’IMU; dove non puoi essere licenziato dal lavoro ma l’economia cresce e c’è benessere per tutti. Dove la politica si riforma sostituendo cittadini normali ai soliti politici di professione – (abbiamo visto con la Lega com’è finita). Ma il mondo reale dove viviamo è purtroppo molto più complesso ed è un mondo di scelte difficili, a volte dolorose, e di compromessi. 

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