Di Alexander
Stille, ieri.
Non l'avevo mai guardato da questo punto di vista il rapporto tra arte e politica. In fin dei conti anche Grillo è un artista.
Un bel problema.
Non l'avevo mai guardato da questo punto di vista il rapporto tra arte e politica. In fin dei conti anche Grillo è un artista.
Un bel problema.
L’appoggio
pubblico di Dario Fo a Beppe Grillo dimostra ancora una volta che il talento e
l’intelligenza sono due qualità molto diverse, spesso lontane. Fo è un uomo di
teatro davvero brillante; quando recita, entra dentro un personaggio sul
palcoscenico, sembra impossessato da un genio comico. Ma quando da uomo normale
apre bocca a parlare della politica si rivela un uomo profondamente normale,
anzi banale. Esprime sempre i luoghi comuni della sinistra extraparlamentare
degli anni settanta – una cultura ingessata e sclerotica – dimostrando di non
aver imparato mai nulla.
Gente che ha
sbagliato tutto, o quasi, convinta non di aver sbagliato mai. Protetta di un
invincibile senso della propria giustizia contro ogni incursione della realtà.
Mi ricordo vari spettacoli di Fo e Rame alla palazzina Liberty di Milano nei
primi anni ottanta, durante il periodo più buio degli anni di piombo: in
uno spettacolo hanno raccontato di un operaio costretto a rubare dalla miseria,
la fame e la spietatezza del padrone capitalista.
Fu un tentativo
non molto sottile di giustificare la violenza terroristica e “i furti
proletari” come frutto inevitabile della disperazione materiale, mentre la
realtà di quei tempi era del tutto diversa: l’Italia stava sperimentando un
benessere sempre più diffuso, un periodo di crescita economica accelerata che
stava minando la possibilità di una rivoluzione popolare.
Il terrorismo
piuttosto che una necessità materiale fu una scelta politica da parte di vari
leader della sinistra extraparlamentare i quali, avendo capito che il Partito
Comunista – e con esso la stragrande maggioranza della classe operaia – si
stava spostando verso posizioni socialdemocratiche decisero che l’unica strada
rimasta aperta verso la rivoluzione era la violenza.
Mi ricordo bene
che dopo gli spettacoli di Fo, raccoglievano soldi per il “soccorso rosso,”
facendo discorsi pietosi sui “poveri” amici – ex-capi di Potere Operaio, Lotta
Continua e Autonomia che hanno dovuto fuggire in Francia per sottrarsi a
processi per terrorismo.
Mai un cenno
alle barbarie delle Brigate Rosse o di Prima Linea e delle responsabilità
politiche e morali dei loro amici che hanno mandato allo sbaraglio una fetta
importante della loro generazione: prese alla lettera le prediche e gli scritti
sulla necessità della lotta armata. Ed eccoci trent’anni dopo con Beppe Grillo
– non per paragonare Grillo ai capi della sinistra extraparlamentare – sempre
con le arringhe di un mondo ultra-semplificato, del popolo “buono” e i soliti
cattivi, di demagogia vuota senza programmi e senza prospettive.
Sarebbe bello
vivere nel mondo dei demagoghi di destra e sinistra – un mondo in cui non si
pagano le tasse ma i servizi sono tutti gratis; in cui le università sono
aperte a tutti (gratis) e a ognuno è garantito un buon lavoro dopo la laurea;
non si sfrattano quelli che non pagano il mutuo e non si paga l’IMU; dove non
puoi essere licenziato dal lavoro ma l’economia cresce e c’è benessere per
tutti. Dove la politica si riforma sostituendo cittadini normali ai soliti
politici di professione – (abbiamo visto con la Lega com’è finita). Ma il mondo
reale dove viviamo è purtroppo molto più complesso ed è un mondo di scelte
difficili, a volte dolorose, e di compromessi.
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