Saturday, 13 August 2011

sindrome da figlio di medico condotto

Per uno degli strani casi della vita, per diversi anni ed assiduamente, in periodi diversi, mi è capitato di essere molto amico di due figli di medico condotto: Valentino e Fabio.
Per la verità ce ne sarebbe un'altro di amico, Bruno, che presenta i sintomi della stessa malattia essendo però lui figlio di maestri: ma non mi suonava bene "sindrome da figlio di medico condotto e di maestro".
Erano gli anni della mia adolescenza, cioè le seconda metà del secolo scorso, quando nei nostri galoppanti paesoni bresciani il medico condotto era un personaggio importante: si contendeva il primato con il sindaco, l'arciprete, il farmacista ed il maestro.
Per la proprietà transitiva anche i loro figli (eccetto quelli dell'arciprete, di solito tenuti nascosti) erano dei privilegiati; sempre benvoluti ed educati non dovevano mai chiedere, ricevevano e basta. Ma la caratteristica comune fondamentale della loro educazione era, naturalmente, il lavoro del padre.
A quel tempo i medici condotti professavano solo per vocazione, il loro non era un lavoro, bensì una missione rivolta al bene della gente, dei loro compaesani.
Ma la cosa più sorprendente, per i tempi, era che per poter svolgere al meglio la loro missione erano esentati dall'assillo che attanagliava il popolo che curavano: avere la certezza di mettere assieme il pranzo con la cena. Il vildenaro necessario alla sussistenza loro e della loro famiglia era un sottoprodotto, continuo ed abbondante, della loro professionalità.
In poche parole: se curavano bene guadagnavano senza preoccupazioni quanto bastava per far fare alla famiglia una vita piacevole: cibo, vestiario, educazione e vacanze garantiti.
Ed al contrario dei loro pazienti, quegli interpreti del boom economico-demografico, dall'operaio al padroncino, sempre alle prese con il problema di far quadrare il bilancio famigliaraziendale.
E' proprio questa l'eziologia della malattia cui sono soggetti i loro figli.
Pensate bene, provate ad immedesimarvi, fanciulli, bambini ed adolescenti cresciuti ed educati con il magnifico esempio dato dal loro padre che ogni mattina usciva felice di andare ad adempiere alla sua missione ed ogni sera tornava stanco ma soddisfatto per esserci quasi sempre riuscito, talvolta dispiaciuto per una situazione irrecuperabile di cui si lasciava scappare solo pochi particolari per non impressionare troppo e per via di una privacy antelitteram. Ma sempre sereno della serenità della sua famiglia. 
Come avrebbe potuto reagire uno di questi figli  della professionalità e della tranquillità una volta laureato, generalmente a pieni voti, sbattuto nel mondo  non protetto, quello dove vige la legge di mercato?
Accusando questa sindrome appunto, che si sviluppa appena raggiunta l'età adulta, ed i cui sintomi consistono in un comportamento da eterni adolescenti per cui si dedicano ai loro interessi ed alla loro professione con una passione sfrenata, sfrenata come bambini alle prese con il loro gioco preferito, col problematico risvolto che, trasportati dai loro ideali, si disinteressano completamente dei risvolti economici, dei bisogni fisici e materiali e tantomeno delle interazioni sentimentali con le persone che vivono al loro fianco.

La malattia rende queste persone piacevoli da frequentare ma impossibili da conviverci, incapaci, o perlomeno inadatte, a gestire la noiosa quotidianetà.
La cura per questa particolarissima sindrome non esiste, l'unico palliativo può essere la convivenza con un/una crocerossina che si assuma in toto le incombenze reali e materiali dell'ammalato.

1 comment:

Fabio said...

Mi piace, il palliativo! Mi sta bene, la crocerossina!!