Wednesday 4 June 2014

EVOLUZIONE ED EDUCAZIONE NEGLI ANIMALI

Di tutti gli animali di una certa dimensione noi siamo quelli con la testa più rotonda. Per diversi motivi. Alcuni ovvi, altri meno. Per prima cosa si osserva in noi la riduzione del «muso», che perde terreno rispetto alla vera e propria scatola cranica, arrotondata per natura. Il muso serve per masticare, oltre che per aggredire a morsi e raggiungere e staccare il cibo, e ha una primaria funzione olfattiva. Non è che per noi la funzione nutritiva abbia perso valore, ma è stata ridimensionata e i suoi correlati anatomici profondamente riprogettati. Anche grazie all’uso delle braccia e delle mani e alla stazione eretta, il cui sviluppo incide così indirettamente sulla geometria del cranio.  
Alleggerita della funzione masticatoria e di quella «prensile» della bocca, la testa si limita quasi esclusivamente a contenere il cervello, la grossa centrale di controllo delle nostre reazioni alle stimolazioni ambientali e dei nostri comportamenti. La testa serve così soprattutto a ponderare le azioni e a pensare in anticipo a quello che c’è da fare o che ci potrebbe essere da fare. Il cervello diventa allora più grande e si specializza, sia in aree essenziali per la sopravvivenza – quelle più antiche e comuni a tutti i vertebrati – sia in quelle accessorie e «libere» da impegni pressanti, con la corteccia cerebrale su tutte. Quest’ultima compare solo nei mammiferi, limitandosi spesso a occupare una minuscola superficie sopra il cervello più antico e localizzato nel centro della scatola cranica. Salendo nella scala evolutiva dei mammiferi la corteccia diviene sempre più estesa e finisce con l’avvolgere, nel nostro caso, l’intero cervello antico che appare così nascosto alla nostra vista dalla presenza della stessa.  
La crescita del volume del nostro cervello ha causato nel tempo un aumento di volume dell’intero cranio, che finisce con l’assumere proporzioni ragguardevoli. Fino al punto di mettere a rischio la madre e il nascituro praticamente a ogni parto. Ecco che allora la natura ne ha escogitata una delle sue. Ha rallentato il nostro sviluppo cerebrale e ci fa nascere con la testa di un cucciolo di scimpanzé non ancora perfettamente sviluppato, chiaramente rotondeggiante. Quando nasce uno scimpanzé, il nostro parente più prossimo, il suo cervello è quasi completamente sviluppato e occupa già buona parte del volume di quello adulto. Quando nasce uno di noi, il cervello non è nemmeno un quarto di quello che sarà poi, e il suo volume finale sarà raggiunto solo dopo diversi anni di vita. 
Abbiamo così spiegato perché la nostra testa è così tonda: perché piena di cervello, che matura inoltre solo con l’avanzare degli anni. Questo fatto ha però alcune conseguenze che contribuiscono a forgiare il nostro modo di essere biologico e a preparare il nostro modo di essere culturale.  
Quando nasciamo il nostro cervello non è completamente sviluppato e completa la sua maturazione negli anni, a occhi aperti, a orecchi aperti e in contatto con il mondo circostante attraverso tutti gli altri sensi. Finisce quindi per crescere già «imparato», almeno fino a un certo punto. Il cervello degli animali «sa» quasi solo quello che gli ha detto il suo patrimonio genetico, che conserva la memoria degli eventi salienti occorsi in milioni di anni di evoluzione. Il nostro sa tutto questo, più quello che ha appreso nei primi mesi e anni della nostra vita extrauterina. Quello che abbiamo appreso in questi primi mesi e anni non è semplicemente immagazzinato nel nostro cervello, ma vi è «scolpito» dentro, perché l’architettura cerebrale e i diversi allacciamenti delle aree del cervello vengono modificati «in tempo reale» dagli eventi della vita alla quale assiste mentre ancora si sta sviluppando. 
All’età dell’adolescenza, quando almeno in linea di principio raggiungiamo la nostra età riproduttiva, il cervello ha già imparato dall’ambiente circostante un sacco di cose, la cui memoria è per giunta quasi indelebile. A quel punto siamo già esseri umani, immersi in un determinato clima culturale e imbevuti dai suoi contenuti e dai suoi precetti. Oltre che un animale sociale, l’uomo è infatti anche un animale culturale. Possiamo anche dire che ha due diverse nascite: quella biologica, coincidente con il primo respiro autonomo, e quella culturale che termina solo dopo l’adolescenza. Il nonno castoro non lascia niente ai nipoti, se non uno stagno e forse una diga. I nostri nonni e bisavoli lasciano ai discendenti tesori di conoscenza risalenti anche a secoli addietro. La rotondità della nostra testa ha quindi anche una conseguenza di lungo termine sulla nostra condizione esistenziale.  

Il cervello più antico e alcune parti della corteccia sono impegnate a espletare compiti essenziali per la sopravvivenza, mentre altre parti non secondarie della nostra corteccia sono libere da impegni biologici pressanti. E possono interrogarsi, improvvisare, inventare, creare e giocare. Il nostro cervello passa molto tempo a soddisfare la propria curiosità e a giocare, perché le dimensioni della nostra corteccia cerebrale glielo permettono, e perché noi restiamo a lungo nella condizione di cuccioli, quando anche gli animali sono curiosi e giocano. Il nostro è quindi un grande privilegio e una carta formidabile da poter giocare per far fronte all’incredibile complessità e imprevedibilità del mondo che ci circonda. Ma occorre che il gioco valga la candela e che operiamo in modo da meritarci questo privilegio. ( edoardo boncinelli, sulla Stampa)

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